Un racconto della storia, di Frà Alexis Bugnolo
Quando parliamo di storia, spesso iniziamo i nostri racconti ripercorrendo gli eventi di un anno in cui si sono verificati fatti memorabili, unici e che hanno cambiato il mondo.
Nella Chiesa cattolica facciamo spesso lo stesso, soprattutto perché la nostra Santa Religione si basa su eventi storici che possono essere associati con precisione a luoghi e tempi specifici.
Tali date sono il 25 marzo del 2 a.C., a Nazareth, nella Santa Casa della Madonna, nell’ultimo giorno della Festa della Pasqua, quando l’Arcangelo Gabriele annunciò a Lei il piano di salvezza di Dio, e Lei disse: “Sia fatto di me secondo la tua parola!”
Oppure il 33 d.C., il 3 aprile, alle 15:00, sul Monte Golgota, quando Nostro Signore e Salvatore espiò tutti i peccati del mondo, offrendo la Sua vita a Dio Padre sul Legno cruente della Croce.
Oppure il 20 maggio 325, nel Palazzo Imperiale di Nicea, in Asia Minore (oggi Turchia), dove l’imperatore Costantino convocò e riunì, tramite il suo rappresentante, il vescovo Osio di Cartagena in Iberia (oggi Spagna), il primo Concilio Ecumenico con il consenso di papa Silvestro I di Roma.
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Ma una data o un anno, di cui i cattolici probabilmente non hanno mai sentito parlare, ma che è altrettanto importante per l’esistenza della Chiesa cattolica, è l’anno del Signore 1058.
Altrettanto importante, dico, dal punto di vista della giurisprudenza, perché proprio come l’identità di un’associazione di persone è, dal punto di vista del diritto, l’identità di un’istituzione secondo il suo fondamento giuridico e la sua continuità da esso, così l’identità della Chiesa cattolica come vera Chiesa di Cristo Gesù si fonda non solo sugli eventi fondanti della sua storia, ma anche su quei momenti della sua storia che sono stati decisivi per preservarne la continuità giuridica nel tempo.
E l’anno del Signore 1058 fu uno di questi anni!
La crisi del 1058
L’importanza del 1058 inizia con il peggioramento delle condizioni di salute di papa Stefano IX, che morì il 29 marzo 1058 a Firenze, tra le braccia del suo confratello benedettino, sant’Ugo di Cluny. Prevedendo il disastro che stava per abbattersi su Roma dopo la sua morte, con il desiderio della corrotta nobiltà romana di tornare all’immoralità dei decenni precedenti, il Santo Padre impose con giuramento al clero e alla nobiltà della Città Eterna di non convocare un’Assemblea Apostolica per eleggere il suo successore fino al ritorno del suo arcidiacono Sant’Ildebrando di Saona dalla corte imperiale di Goslar, in Turingia, Germania, per presiederla. Così racconta Bonzio di Sutri nella sua storia dell’epoca.
Ma non appena i nobili della città vennero a conoscenza della morte di papa Stefano IX, poco dopo il suo arrivo a Firenze per incontrare Sant’Ugo, nella notte del 4 aprile irruppero nella città con truppe armate e imposero l’elezione di Giovanni Minucio, vescovo di Tusculo, come papa Benedetto X il 5 aprile 1058, appena una settimana dopo, non appena giunse la notizia a cavallo.
Stefano IX, in vita, si chiamava Federico, e suo fratello era Goffredo il Barbuto, duca di Lorena (ora Belgio-Francia nord-occidentale). E così, alla sua morte, suo fratello inviò immediatamente 500 uomini armati per mettere in sicurezza la città di Roma. Arrivarono troppo tardi per intervenire.
Giovanni Minucio fu nominato cardinale da papa Stefano IX nel 1050 d.C. E non era un nessuno, poiché Federico di Lorena, il futuro papa Stefano IX, lo aveva nominato Giovanni papa nelle elezioni papali del 1057, che invece scelsero Frederico. Si era detto che Giovanni fu costretto ad accettare la sua elezione a papa.
Il cardinale Pietro Damiano denunciò immediatamente l’illegittimità dell’elezione e anatemizzò i responsabili. Per la sua sicurezza personale dovette fuggire dalla città. I cardinali Umberto e Pietro di Tuscolo fuggirono a Benevento e dichiararono irregolare l’elezione.
Quando Sant’Ildebrando tornò dalla Germania, trovò la città di Roma nelle mani dei sostenitori di Benedetto IX e dichiarò l’elezione invalida per violazione del precetto imposto da papa Stefano, secondo cui Sant’Ildebrando, il futuro papa Gregorio VII, doveva essere l’elettore sine qua non la cui presenza avrebbe reso l’elezione legalmente convocata.
La soluzione del 1058
Così, nel maggio del 1058, l’arcidiacono Sant’Ildebrando e il cardinale San Pietro Damiano, insieme al cardinale Umberto di Selva Candida, convocarono un’Assemblea Apostolica a Siena, in Italia (a circa 3 ore di macchina a nord di Roma), ed elessero Gerardo di Borgogna, vescovo di Firenze.
Gerardo assunse il nome di Niccolò II.
Gerardo contava sul sostegno di Gerardo il Barbuto di Borgogna, margravio di Toscana, e di Wilberto di Ravenna (alias Guiberto di Parma), cancelliere imperiale d’Italia. Inviò quindi Sant’Ildebrando come suo legato presso di loro e alla corte imperiale di Goslar, in Germania, per assicurarsi il diritto al papato.
San Ildebrando, dopo aver raggiunto questo obiettivo, tornò con entrambi i nobili a Siena, dove proclamarono Gerardo papa Niccolò II il 6 dicembre 1058, circa sei mesi dopo.
Quindi marciò su Roma con le forze armate del margravio di Toscana e, fermandosi a Sutri, convocò il secondo concilio provinciale di Sutri e dichiarò Benedetto X deposto come antipapa e usurpatore.
Il 24 gennaio 1059, Niccolò II fu intronizzato a Roma come Pontefice Romano, e da quella data si conta normalmente il suo pontificato.
La legalità dell’elezione di Papa Niccolò II
I sostenitori dell’antipapa Benedetto X contestarono la legalità dell’elezione di Niccolò II II per i successivi 130 anni nelle cronache dei monasteri locali.
Questa contestazione si basava su fatti evidenti, ovvero
- L’elezione di Niccolò II avvenne fuori dalla città di Roma, in violazione di tutti i precedenti.
- L’elezione di Niccolò II avvenne in secondo luogo rispetto all’elezione di Benedetto X.
- L’elezione di Niccolò II fu effettuata da una minoranza di cardinali.
- L’elezione di Niccolò II non fu approvata dall’intero clero e dal popolo al momento della sua elezione a Siena nel maggio e nel dicembre del 1058.
Tuttavia, la rivendicazione legale di papa Niccolò II di essere il vero pontefice romano si basava su un argomento ancora più forte, ovvero:
- che l’elezione di Benedetto X era stata ottenuta con la forza delle armi;
- che l’elezione di Benedetto X era stata condotta in violazione del numero degli elettori, ovvero negando a Sant’Ildebrando, l’arcidiacono, la possibilità di essere presente.
I principi giuridici confermati dal Magistero papale infallibile
Per i quattro secoli successivi e, di fatto, fino ai giorni nostri, la Chiesa cattolica e tutti i veri papi hanno riconosciuto come legittima l’elezione di Niccolò II, in virtù di due principi giuridici oggi riconosciuti dal diritto canonico:
- Poiché la coercizione distrugge la libertà, un voto o un’elezione ottenuti con la coercizione sono illegittimi e quindi irritus, da considerarsi come mai avvenuti (cfr. CIC 1983, Canone 125 §1)
- Poiché la violazione delle procedure obbligatorie produce un’elezione illegittima, tutte le votazioni effettuate in violazione di tali procedure portano a un’elezione che è irritus, da considerarsi come mai avvenuta (cfr. CIC Canoni 42 e 124 §1).
Questi principi sono affermati nell’attuale legge papale, Universi Domini Gregis, al n. 76, dove si legge nella traduzione italiana del Vaticano:
76. Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritto nella presente Costituzione o non fossero state osservate le condizioni qui stabilite, l’elezione è per ciò stesso nulla e invalida, senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito e, quindi, essa non conferisce alcun diritto alla persona eletta.
Insegnamento magisteriale di papa Niccolò II
L’insegnamento magisteriale di papa Niccolò II su questo argomento è stato sancito nella sua bolla In Nomine Domini, n. 3, nell’aprile del 1059, dove si legge:
§ 3. Pertanto, se la perversità degli uomini depravati e iniqui prevale a tal punto che non è possibile tenere un’elezione pura, sincera e libera nella Città, i Cardinali Vescovi con i Chierici religiosi e i laici cattolici, anche se pochi, ottengano il diritto di potere (ius potestatis) di eleggere il Pontefice della Sede Apostolica, dove ritengano più opportuno. Chiaramente, una volta completata l’elezione, se dovesse scoppiare un conflitto bellicoso e/o se la lotta di qualsiasi tipo di uomini resistesse con la serietà della malvagità, tale che colui che è stato eletto non potesse prevalere per essere intronizzato nella Sede Apostolica secondo la consuetudine, tuttavia, che l’eletto ottenga come Papa l’autorità di governare la Chiesa Romana e di disporre di tutte le sue facoltà, che il Beato Gregorio, come sappiamo, fece prima della sua consacrazione.
Questo insegnamento non è solo disciplinare, ma anche dottrinale, poiché la Chiesa ha sempre considerato valido il principio applicato all’elezione di Niccolò II nell’anno precedente alla sua elezione a papa.
Inoltre, quando si comprendono le circostanze storiche dell’elezione di Niccolò II, in confronto alla sua Bolla, si nota un sorprendente triplice livello di sicurezza: che quando c’è stata un’elezione la cui validità sia stata compromessa con qualsiasi mezzo, entrano in vigore 3 diritti per garantire l’elezione giuridicamente valida di un candidato onesto da quelli che riconoscono la prima elezione quale invalida:
- il diritto di voto dell’elettorato originario dell’intera Chiesa Romana, Cardinali, Clero e Laico,
- il diritto di tenere l’elezione ovunque e
- il diritto di agire validamente anche con qualsiasi numero esiguo di membri dell’elettorato originario.
Pertanto, sebbene questa bolla non sia più in vigore dal punto di vista giuridico, il suo insegnamento rimane valido nei casi in cui l’attuale diritto papale non prevede alcuna disposizione.
Come San Ildebrando difese la Chiesa da tutti i futuri antipapi
Ed è così che San Ildebrando salvò per sempre l’identità giuridica della Chiesa cattolica come Chiesa di Cristo, poiché con la sua decisione di opporsi alla pretesa illegittima di Benedetto X al papato, portò alla luce i principi della Legge Naturale per guidare tutte le generazioni future, che possono essere riassunti in queste regole:
- Un’elezione che viola i precetti relativi alla procedura rende l’elezione irritus, cioè priva di valore giuridico (Cf. CIC 1983, Canone 124 §1)
- Un’elezione in cui si verifica una coercizione, tale da determinare un voto diverso da quello che sarebbe stato, è illegittima (Cfr. CIC 1983, Canoni 125 §1 e 170)
- Un’elezione senza il numero corretto di elettori è invalida (Cfr. CIC 1983, Canoni 119 §1, 161 §3 e 172 §1)
- Tutti coloro che hanno diritto di voto, quando votano in un’elezione illegittima per il Papa, subiscono la decadenza del loro diritto per l’atto di entrare in scisma da Cristo aderendo a un uomo come papa che NON è il papa. (Cfr. CIC 1983, Canoni 1364 e 1331 §1)
E questi sono proprio i principi incarnati nella risposta Cattolica qui a Roma, in questo anno del Signore 2025, al misfatto dei cardinali che hanno eletto Prevost come “Leone XIV” con 133 voti, nonostante la Legge Papale vieti più di 120 elettori (UDG n. 33) e proibisca l’uso di dispense (UDG n. 4) per consentirne più di 120.
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Anno Domini 1058