Lettera aperta al clero della Chiesa di Roma, denunciando Prevost come antipapa

Poiché molti ecclesiastici che prestano servizio a Roma sono così poco preparati da giudicare le cose solo sulla base delle apparenze e di ciò che affermano la televisione e i giornali, ristampiamo questa lettera inviata ai sacerdoti di Roma in cui si spiegano le serie e gravi ragioni per cui il Cardinale Prevost non è il nostro Vescovo e perché la sua pretesa di essere il Papa è priva di ogni ragionamento giuridico, di fatto e di diritto.

In particolare, desideriamo denunciare la profonda ipocrisia di colui che oserebbe parlare al clero di Roma come un Padre, quando è un assoldato dei globalisti che non è entrato nella Chiesa di Roma dalla porta, ma ha scavalcato il muro dell’ovile, violando le leggi di Dio e della Chiesa nel rivendicare il papato.

Insiste sull’unità, ma rifiuta l’unità della Chiesa professando un credo eretico e bestemmiando lo Spirito Santo, trasformandolo in una sorta di demiurgo al servizio del Grande Oriente.

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Cari Reverendi Padri della Chiesa Romana,

Vi scrivo per esprimere le mie preoccupazioni, in conformità con il diritto concessomi dal canone 212 del Codex Iuris Canonicis pubblicato da Papa Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983, riguardo ad una questione che sta versando tutti i cattolici in una gravissima preoccupazione, in particolare quelli della Chiesa di Roma: si tratta delle gravi irregolarità relative all’elezione del Cardinale Robert Francis Prevost a Vescovo di Roma.

Come forse saprete, il 30 aprile 2025 la Sala Stampa Vaticana ha pubblicato una dichiarazione dei Cardinali in merito alla loro pretesa di avere una dispensa al fine di violare il precetto formale di cui al n. 33 della Legge Pontificia sui Conclavi, Universi Dominici Gregis, promulgata da Papa Giovanni Paolo II, il 22 febbraio 1996, che recita così:

“Maximus autem Cardinalium electorum numerus centum viginti ne excedat”.

Questo precetto è una delle disposizioni giuridiche essenziali di quella legge pontificia, perché sancisce il pensiero del legislatore, Papa Giovanni Paolo II, il quale ha deciso in essa che il numero di 120 Cardinali elettori che partecipano ad un Conclave sia ben sufficiente (Vedi il 7° paragrafo dell’introduzione alla stessa legge papale).

Nel suddetto comunicato stampa del 30 aprile, tuttavia, i Cardinali hanno avanzato la pretesa di avere il diritto di interpretare l’atto di Papa Francesco, inerente la nomina dei Cardinali, come equivalente alla concessione di una dispensa da questo precetto. Nella loro pretesa non citano alcun documento o dichiarazione verbale del defunto Romano Pontefice per giustificare o documentare la loro affermazione.

Per questo motivo, sembra giuridicamente improbabile che la loro pretesa sia valida, dal momento che, secondo il canone 16, il diritto di interpretazione in grado di dispensare da una legge appartiene solo ai superiori e ai soggetti ai quali è stato concesso in un atto giuridico. Inoltre, il canone 86 proibisce le dispense contro le disposizioni giuridiche essenziali delle leggi papali; ancora, il canone 335 proibisce qualsiasi innovazione del diritto durante la sede vacante. Inoltre, le concessioni verbali espressi da uno superiore, che non vengono promulgate, non possono avere forza di legge dopo la sua morte, altrimenti l’intero sistema giuridico della Chiesa diventerebbe dubbio dopo la morte di qualsiasi superiore. Ed in effetti, il diritto di un Cardinale di votare in Conclave non è concesso dall’atto di nomina, né dal Codice di Diritto Canonico, ma solo dalla legge particolare sui Conclavi e comunque solo sotto la restrizione di 120.

Allo stesso modo, la motivazione avanzata dai Cardinali nella loro dichiarazione del 30 aprile non invoca la loro autorità nel n. 5 della Legge Pontificia riguardo alle interpretazioni di passi dubbi o controversi: da ciò ben si comprende come abbiano tacitamente ammesso che la loro pretesa non ha alcun fondamento nei diritti concessi loro in quel paragrafo della Universi Dominici Gregis.

Inoltre, la loro affermazione inerente al diritto di voto concesso a certi cardinali nel n. 36, usato come argomento contro la restrizione sopra menzionata nel n. 33 della stessa legge, risulta incoerente, poiché secondo le norme universali della giurisprudenza le definizioni e le restrizioni iniziali di una legge hanno la precedenza nella lettura del significato autentico di una legge in tutti i paragrafi successivi ad esse. Pertanto, non è autentico appellarsi al n. 36 avverso al n. 33, tanto più che nel n. 36 l’affermazione del diritto è posta esplicitamente sotto la restrizione del n. 33.

Di conseguenza, risulta che Papa Giovanni Paolo II, nel penultimo paragrafo della promulgazione di questa legge papale sui conclavi – dove dichiara irrita qualsiasi cosa fatta, consapevolmente o inconsapevolmente, da qualsiasi persona di qualsiasi dignità ecclesiastica – ha di fatto reso irrita la pretesa avanzata dai Cardinali nella loro dichiarazione del 30 aprile.

Per tutte queste ragioni, ritengo che il recente Conclave, tenutosi con 133 Cardinali elettori in ciascuna delle sessioni di scrutinio, abbia oggettivamente violato l’obbligo di cui al n. 68 della stessa Legge Pontificia, perché in ciascuna sessione di scrutinio sono state contati 133 voti anzichè 120; così facendo si è attribuito loro un valore giuridico contrario alla regola del n. 68 nell’atto stesso della votazione, azione che è giuridicamente irritus in sé e che ha causato la nullità dell’elezione del Cardinale Prevost come da censura di cui al n. 76 della stessa Legge, decretata da Papa Giovanni Paolo II, e nell’atto dell’elezione sul quale i Cardinali non hanno alcuna autorità di usare i diritti loro concessi dal n. 5 della medesima legge, come la stessa espressamente afferma.

Quindi, poiché Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che è il Capo della Chiesa e Legislatore Divino, ha dichiarato a San Pietro e ai suoi successori: “Tutto ciò che legherai in terra, sarà legato in cielo, ecc.”, appare teologicamente e giuridicamente impossibile che il conclave abbia avuto un risultato giuridico valido e che il Cardinale Prevost abbia una qualche valida pretesa all’ufficio di Romano Pontefice, per non parlare del fatto che non abbia mai potuto ricevere la grazia di tale munus dalle mani di Nostro Signore Gesù Cristo.

Inoltre, poiché il Cardinale Prevost prima dell’apertura del Conclave era noto per aver pubblicamente parlato in modo contrario ad almeno 5 verità il cui obbligo di credere è sempre stato sostenuto dalla Chiesa, risulta che, anche se altrimenti regolare, la sua elezione sia resa nulla, inanis e irrita dalla censura contenuta nel n. 6 della Bolla di Paolo IV, Cum ex apostolatus officio, del 15 febbraio 1559, e confermata da Papa Pio V nel suo Motu Proprio, “Inter multiplices curas”, del 12 gennaio 1567, in questa particolare censura mai abrogata, obrogata, subrogata o derogata.

Queste 5 verità che il Cardinale Prevost ha negato sono le seguenti: che lo Stato ha l’autorità da Dio di imporre legittimamente e lecitamente la pena capitale ai criminali, che l’osservanza del Secondo e del Sesto Comandamento del Decalogo sono fondamenti della disciplina sacramentale, che gli Apostoli avevano l’autorità di vincolare per sempre la Chiesa ad attenersi alla stessa disciplina per escludere i peccatori pubblici dalle benedizioni e dalla ricezione dei Sacramenti dei viventi, che con la sua ordinazione un sacerdote cattolico è tenuto esclusivamente ad agire come ministro di Gesù Cristo e a benedire cose e persone solo nel Nome dell’unico Dio vero e vivente, come ambasciatori di Dio sulla Terra; per non parlare del fatto che la Chiesa cattolica è obbligata a credere le stesse cose in ogni epoca, luogo e diocesi. Tutte questioni che il cardinale Prevost ha pubblicamente negato, contestando l’ammissibilità della pena capitale ed accettando i documenti eretici Fiducia supplicans e Amoris laeticia (già denunciati come tali dai cardinali Mueller e Sarah), permettendo ad ogni diocesi di agire diversamente secondo a tempi, luoghi e culture.

Pertanto, Vi scrivo, in qualità di membri del clero della Chiesa romana, cioè delle Diocesi di Roma e delle sue sedi suburbicarie, per esprimere ai vostri superiori ecclesiastici la preoccupazione dovuta all’azione sconsiderata dei Cardinali, che ha messo la Chiesa in una grave crisi giuridica, in ragione della loro pretesa di dare alla stessa Chiesa, come Papa, un uomo che, per le irregolarità della sua elezione e per il dissenso dalla de Fide Catholica, non ha alcuna pretesa all’Ufficio Papale.

Come rimedio, non sembra esserci altra linea d’azione onesta, se non l’abdicazione del Cardinale Prevost e la sua rinuncia alla pretesa dell’ufficio papale, nonchè il rientro dei Cardinali in Conclave seguito, in rispetto della legge papale, dall’elezione di un altro soggetto, tenendo presente la censura di Papa Paolo IV. Altrimenti, data la mera competenza ministeriale dei Cardinali, in assenza di un privilegio, ex canone 349, il diritto di eleggere il Romano Pontefice tornerebbe all’elettorato istituzionale originario, quale intero corpo dei fedeli della Chiesa a Roma e delle sue diocesi suburbicarie secondo la norma della Legge Apostolica e del diritto naturale (cfr. Niccolo II, In Nomine Domini, n. 3, 13 Aprile 1059). Infatti, qualora i Cardinali rifiutassero di riconoscere l’invalidità delle loro azioni del 7 e 8 maggio 2025, tale ostinazione nell’errore vizierebbe totalmente, nella presente istanza, la loro competenza ad eleggere il Romano Pontefice.

Per quanto riguarda la regola dei 120 Cardinali elettori, questi ultimi possono facilmente rispettarla qualora 13 di loro si astengano volontariamente dal voto in ogni sessione di scrutinio, rinunciando al loro diritto o accettando di essere scelti a sorte prima di ogni suindicato scrutinio, lasciando la Cappella Sistina. Tale soluzione non violerebbe il diritto pontificio e sarebbe altresì in accordo con l’antico principio giuridico, citato da Graziano, secondo cui i privilegi devono cedere alle norme generali (cfr. Generale praescriptum beneficio speciali anteferendum est (Codice Teodosiano: DEM AAA. VICTORIO P(RO)C(ONSULI) ASIAE).

Per quanto riguarda il clero della Chiesa di Roma, ritengo che l’argomentazione sopra esposta sollevi sufficienti dubbi giuridici sulla validità dell’elezione del Cardinale Prevost; conseguentemente ogni Arcivescovo, Vescovo o Sacerdote ha sufficienti motivi per ricorrere al diritto, concesso ex canone 41, di omettere momentaneamente il nome di “Leone” nel Canone della Messa, per evitare che, facendo il contrario, si acconsenta a un atto di malaffare da parte del Collegio Cardinalizio.

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Sappiamo che i fatti, le leggi e la giusta comprensione di entrambi saranno sgraditi a quegli uomini che da tempo hanno abbandonato ogni intenzione spirituale di servire l’unico Dio vero e vivente, e che invece si sono abbandonati alle perversità della prevaricazione, della dissimulazione, della finzione e della vanità. Ma condividiamo questa lettera per il bene degli uomini di Dio onesti, santi e retti che costituiscono il clero della nostra Chiesa e che sono isolati da ogni parte da questa marmaglia eretica di empi. Assicuriamo a questi santi sacerdoti le nostre preghiere e ci schieriamo con loro, che ci pascono veramente nella comunione con Cristo, una comunione che si fonda sul diritto, sulla verità e sulla giustizia, e non sulla molteplicità delle parole o sui riti della finzione.

Aggiornomento:

Per scaricare questa lettera, vedi qui la stessa in formato PDF (scarica QUI):

Cari Reverendi Padri della Chiesa Cattolica

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